E’ uscito pochi giorni fa, per le edizioni Impressioni Grafiche, al costo di 10 euro, l’ultimo libro di Manlio Calegari. L’ho letto, e, come commento da “dilettante”, devo dire che è il saggio che mi è piaciuto di più degli ultimi anni.
E’ un gran libro, frutto di un lavoro, e una tranche di vita di tanti e tanti anni: alcuni dei materiali, le interviste sono degli anni Settanta; la storia raccontata inizia nel 1967, ai cancelli dell’ASGEN, una delle grandi fabbriche meccaniche genovesi, e si dipana tra Società di mutuo soccorso, università in lotta, comitati operai-studenti, sezioni del PCI… ma poi va molto oltre, anzi, molto a ritroso, fino all’Ottocento, e dipinge un grande affresco, attaverso le voci di uomini e donne, contadini, portuali, operai, studenti, delle trasformazioni sociali, economiche, di costume e di cultura, e della nascita di nuovi ceti proletari, dell’integrazione dei mestieri della città e della campagna, delle “ville” , dei mercati, delle banchine e delle stive delle navi, delle fabbriche.
Vediamo nella parte iniziale, attraverso il racconto di Manlio, uno dei protagonisti, all’epoca ancora come attivista del PCI anche se nouvelle vague, (di lì a poco venne radiato, come si sa, con il gruppo del Manifesto genovese), la situazione degli operai “oltre i cancelli” della fabbrica, dentro le sezioni, nel dibattito e scontro interno al Partito comunista, nei dubbi e nelle diffidenze verso gli studenti, ma in alcuni (come Gino Canepa) nella curiosità che poi sfocia in interesse e simpatia, e poi in amicizia con lo storico e con le compagne e compagni universitari. C’è Franco Sartori, uno dei protagonisti operai dell’incontro con il Sessantotto e animatore dell’autunno di lotta del ’69 e degli anni seguenti; ci sono altri, poco conosciuti, come Mario Sfrisi, e lo scontro sulla Commissione Interna all’Asgen, la “Sezione Teglia” del PCI di Rivarolo e la consapevolezza politica del gruppo di operai che la animavano, già dagli anni precenti. E poi, il “vento che gira”, l’esplodere del 68 non solo nelle lotte operaie (a Genova, la Chicago Bridge da il via) ma nelle scuole, nelle chiese, negli ospedali psichiatrici … l’estate del ’68 all’Asgen, finalmente scoppia la lotta: “nell’assemblea seguita allo sciopero si era vista una determinazione che aveva colpito gli stessi non troppo sotterranei organizzatori”. Il 17 luglio di nuovo lo stabilimento intero entra in sciopero: la CI, il sindacato (e il Partito) devono accettare le decisioni dell’assemblea, a cui da allora spetta la direzione della lotta: “la fine del mondo; l’azzeramento di pratiche sindacali consolidate da anni”. Lotta operaia e lotta politica dentro il PCI, l’emergere di consapevolezza politica generale incarnata in figure di giovani e meno giovani operai (“Possibile che tutto quello che stavamo vivendo fosse interessante solo per dotare i metalmeccanici di un nuovo contratto di lavoro? La società aveva alzato la testa…”), lo scontro, le stategie del PCI per non perdere il controllo sul partito e sulle fabbriche…un racconto appassionante, dall’interno, che si chiude con la fine del ’69, con la bomba di Piazza Fontana e la firma del contratto dei metalmeccanici.
“Gino, ora tocca a te”, 4 gennaio 1975, Manlio comincia l’intervista a Gino Canepa. Per una storia della fabbrica tra il 68 e il 69, “anni speciali anche se trascorsi da poco”. L’idea era di Gino, che voleva dallo storico e dalla storia risposte a ciò che si capiva era stato importante, “non facile, perché era necessario dare ragione nello stesso tempo alla storia dei molti e dei singoli, come la sua”. Caffe, Elio, Luigi, Remo, altre voci si aggiungono, quelle dei compagni del Comitato. E quella di Manlio che, nel rileggere e interpretare, offre una sintesi di fatti e soprattutto pensieri , che muovevano sia i suoi testimoni che lui stesso, insieme partecipe politico attivo e storico impegnato sul piano teorico. Il suo riferimento è Montaldi (“Militanti politici di base”): “Quello che ci voleva: era la prova di come si potesse a un tempo fare politica e occuparsi di storia” “storie di vita a testimoniare il valore cruciale della discontinuità e della rottura nella battaglia intrapresa dalla classe per la sua emancipazione”. Ma i testimoni di queste interviste sono diversi dai militanti di Montaldi, sono meno “eroici”, il loro protagonismo è quello formatosi con i Comitati, con il noi più che con l’io…
Le interviste si fecero, e furono interessanti, ma il progetto si arenò, per tanti motivi di cui Manlio da conto, ma ora riemergono e riempiono le pagine di questo libro: ” a volte si ha tempo per correggersi. Nel nostro caso tempo ci fu, dopo le interviste continuammo a frequentarci” anzi, diventarono amici, e confinanti di terra, un piccolo vigneto acquistato da Manlio col collega Moreno, fino alla morte di Gino, nel 1991.
Gino comincia parlando della “villa”, e non poteva essere diversamente: “Muratori, villani, camalli, operai: storia di Gino Canepa raccontata da lui stesso”, così si intitola la sua lunga autobiografia: dal nonno al padre portuale a lui stesso, ma la villa è sempre lo sfondo delle loro vite: “se andavi a lavorare in porto o a fare l’operaio, era un mestiere che si aggiungeva”, una fatica, che però dava una certa soddisfazione. Grazie alla villa, e al lavoro e all’inventiva della madre Felicina, che va sul mercato a vendere i prodotti, la famiglia riesce a superare i lunghi periodi di crisi (durante il fascismo, in porto dove lavora il padre Dria). La sua è la storia della trasformazione della città proletaria e contadina, delle strategie di vita, dei modi di relazionarsi in famiglia, tra le generazioni, e fuori, con i compagni di lavoro, con le donne. Di un protagonista consapevole, che riflette sul mondo e che non accetta mai lo status quo. Che in certi casi precorre i tempi, nel suo rifiuto verso il consumismo, verso il lavoro come fine invece che mezzo per la una vita più felice… non è stato casuale il suo incontro con i temi del ’68 e il suo accoglimento di alcuni dei suoi esponenti, gli studenti che andavano ai cancelli della fabbrica per conoscere di persona gli operai.
Anche per noi lettori questo libro è un incontro, con Gino Canepa, con Felicina, (intervistata anche anni dopo, nel 1981, da Isabella Traverso ), con il padre Dria, con il portuale Malinverni e la folla di personaggi che popola queste pagine. E anche, di riflesso, con gli studenti che animarono i “seminari” universitari tra il 1974 e il 1976, del loro entusiasmo e delle scoperte, di cui l’autore, docente dell’epoca, da conto. Un reincontro, un ritrovarsi, con Claudio Costantini, che tra i primi aveva colto il valore di questi documenti nel suo sito “Quaderni.net”.
E’ anche un nuovo incontro con la città, che va ben al di là della storia locale, ma ha, come altri libri di Manlio, un valore esemplare. E ciò attraverso uno sguardo storico che integra storie individuali e collettive, di uomini e di donne, storia politica e sociale, storia del lavoro e del territorio… un grande libro, una lunga ricerca, che parla a molti di noi, e di molti di noi.