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The Ebon Box. Emily Dickinson, n. 169 (1860)

In Ebon Box, when years have flown
To reverently peer –
Wiping away the velvet dust
Summers have sprinkled there!

To hold a letter to the light –
Grown Tawny now, with time –
To con the faded syllables
That quickened us like Wine!

Perhaps a Flower’s shrivelled cheek
Among its stores to find –
Plucked far away, some morning –
By gallant – mouldering hand!

A curl, perhaps, from foreheads
Our constancy forgot –
Perhaps, an antique trinket –
In vanished fashions set!

And then to lay them quiet back –
And go about its care –
As if the little Ebon Box
Were none of our affair!

“Emily Dickinson. Tutte le poesie”, a cura di Marisa Bulgheroni, Mondadori 1997.

“Nella cassetta d’ebano, passati molti anni
guardare reverenti,
scostando quella vellutata polvere
che le estati vi sparsero

E reggere una lettera alla luce –
ormai ingiallita dal tempo –
compitare le sillabe sbiadite
che come vino ci esaltarono!

Forse tra i suoi tesori ritrovare
qualche sgualcito petalo d’un fiore
che una mattina lontano fu colto
da un’intrepida mano, ora consunta!

(…)
E poi riporre tutto, silenziosi,
e andare pei fatti nostri
come se quella cassettina d’ebano
più non ci riguardasse!”

e molti anni dopo, questa bellissima canzone, nella fassbinderiana versione cinematografica (segnalata da Marco Ferrari): dicono di più sul <ricordare> che un tomo di mille pagine…

 

 

 

 

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EFFE, archivio virtuale sul web

Bellissima realizzazione!
effe, rivista femminista

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1989 – Finite Infinity: Paola Campanella e Emily Dickinson, quadri e poesia in una vecchia libreria ormai scomparsa

Un evento dei lontani anni Ottanta…

Paola Campanella è una pittrice genovese, che in un periodo della sua vita artistica era affascinata dalla linea retta, esplorata in tutte le sue varianti e possibilità. Emily invece utilizza più volte la circonferenza (“sposa del terrore”), una delle immagini simboliche più dense, e oscure, della sua produzione poetica. Nel 1989 con diapositive di quadri di Paola Campanella (realizzate da Angelo Gualco), lettura di poesie di Emily Dickinson e musica di Sciarrino avevo realizzato un incontro pubblico, quando avevo una libreria, nel Centro storico a Genova. L’evento era intitolato “Finite Infinity. Arte, libertà e soggettività femminile“. Me lo ricordo con grande nostalgia (un coraggio – o un’incoscienza- smisurata!). Inserisco il collegamento al testo realizzato per l’occasione. Forse qualche concetto è datato, sono passati tanti anni…ma, stranamente, non mi da quel senso di estraneità che si prova spesso rileggendo propri vecchi scritti. Merito della grande Emily, sicuramente (che periodicamente vado a rivisitare) e anche dei quadri di Paola Capanella, due dei quali mi fanno compagnia da allora.

Finite Infinity

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L’incontro di Bologna organizzato dalla Associazione Orlando (Narrare e rappresentare una storia, femminismo e femministe in Italia negli anni Settanta…)

Molto, molto interessante. La mia non può essere una cronaca, e mi sono pentita di aver preso appunti così disordinati e sommari (cercavo di seguire il più possibile…). Possiamo solo affidarci alla registrazione puntualmente effettuata dal Serverdonne e sperare che prestissimo sia resa disponibile. Voglio solo ringraziare, di cuore, a chi ha pensato e organizzato il seminario (Annamaria Tagliavini, Elda Guerra) a chi è intervenuta… grazie, credo di non essere la sola a sentire l’esigenza di una puntualizzazione su ” a che punto è la storia delle donne”, di un confronto tra sguardi diversi (anche in contraddizione), ma di livello molto alto, il massimo forse oggi in Italia. Tuttavia, per Anna, amica e giovane storica ora a Londra, impaziente di “nutrirsi” con ciò che si è discusso ieri, tento di buttare giù qualche appunto, scusandomi per la sommarietà.

Anna Rossi Doria (indomita guerriera, nonostante la fatica,con il suo bastone e la bianca criniera, credo fosse palpabile l’alone di affetto e riconoscenza che la circondava ). Alcune frasi estratte da un intervento densissimo, pieno di citazioni e rimandi ad altri testi, ad altre narrazioni storiografiche.

“Vuoto storiografico e cambiamento di rapporti tra memoria e storia (riferimento: Simonetta Soldani, “Incerto profilo ecc.” in “A che punto è la storia delle donne in Italia”, Viella 2003).

Oggi: grande mole di memorie, ma scarse storie locali; c’è stata troppa concentrazione sulle “origini” , mentre il femminismo coinvolgeva intanto milioni di donne … (Testi di riferimento: Memoria – la rivista, sui Settanta; Genesis III 2004, Anna Bravo e Giovanna Fiume).

Ma come pensiamo al femminismo? Non nostalgia (che vuole rivivere il passato come riproducendolo) ma malinconia, per la perdita del momento utopico – utopia concreta (Luisa Passerini, Storie di donne e femministe), per la difficoltà a raccogliere la fine di quella esperienza (Joan Wallach Scott. The Fantasy of Feminist History. Duke University Press, 2011). Anche ad esempio Lo schermo del potere, l’introduzione di Emma Baeri al libro Una questione di libertà di Anita Ribeiro, e Femminismi a Torino di Piera Zumaglino …

Negli ’80 la teorizzazione della “genealogia” (Libreria delle donne di Milano) ha ostacolato una storia femminista, la pluralità dei femminismi e la comparazione di realtà locali (Nè partito nè marito… citato da A.R.D., che emozione….e che onore!) e Federica Paoli in Differenze nella collana Letture d’Archivio, nonchè il libro Il gesto femminista
Sulla storia ha prevalso la memoria, cosa che, oltre i meriti, apre anche problemi: c’è un’idea nostalgica del passato – un altro luogo, più che un altro tempo – c’è perdita della continuità e del nesso fra passato e presente, in ultima analisi c’è indebolimento del futuro e il rischio di fare una storia identitaria, di avere dei frammenti di passato distinti, specialmente come storie delle vittime (citato: L’età dell’oblio, di Tony Judt)

Se all’inizio la storia delle donne si poneva come storia particolare, ora il problema è opposto, c’è l’esigenza di una nuova universalità.
Bisogna ripensare la soggettività (su cui hanno lavorato tanto Di Cori e Passerini, soggettività versus identità) oggi però, nel clima mutato, non deve diventare arbitrarietà. La storia non è l’autobiografia (e qui non è questione di sguardo delle donne/sguardo generale, e nemmeno di “dibattito sul postmoderno”…).In difesa della storia, di Evans (Sellerio ed.)  Non dobbiamo tornare indietro, ma ripensare il rapporto tra particolare e universale (ad esempio nel dibattito sul multiculturalismo) cercare le potenzialità dell’universale nel particolare (rif: Alain Touraine, Pier Cesare Bori, e Natalie Zemon Davis, Che cosa c’è di universale nella storia.

Continua, se ci riesco, alla prossima puntata

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Femminismo anni Settanta, incontro a Bologna di storia delle donne

seminario 22 nov. (1)

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10 novembre 2014 · 6:19 PM

“L’eredità Canepa. Il Sessantotto tra memoria e scrittura”, il nuovo libro di Manlio Calegari

E’ uscito pochi giorni fa, per le edizioni Impressioni Grafiche, al costo di 10 euro, l’ultimo libro di Manlio Calegari. L’ho letto, e, come commento da “dilettante”, devo dire che è il saggio che mi è piaciuto di più degli ultimi anni.

E’ un gran libro, frutto di un lavoro, e una tranche di vita di tanti e tanti anni: alcuni dei materiali, le interviste sono degli anni Settanta; la storia raccontata inizia nel 1967, ai cancelli dell’ASGEN, una delle grandi fabbriche meccaniche genovesi, e si dipana tra Società di mutuo soccorso, università in lotta, comitati operai-studenti, sezioni del PCI… ma poi va molto oltre, anzi, molto a ritroso, fino all’Ottocento, e dipinge un grande affresco, attaverso le voci di uomini e donne, contadini, portuali, operai, studenti, delle trasformazioni sociali, economiche, di costume e di cultura, e della nascita di nuovi ceti proletari, dell’integrazione dei mestieri della città e della campagna, delle “ville” , dei mercati, delle banchine e delle stive delle navi, delle fabbriche.

Vediamo nella parte iniziale, attraverso il racconto di Manlio, uno dei protagonisti, all’epoca ancora come attivista del PCI anche se nouvelle vague, (di lì a poco venne radiato, come si sa, con il gruppo del Manifesto genovese), la situazione degli operai “oltre i cancelli” della fabbrica, dentro le sezioni, nel dibattito e scontro interno al Partito comunista, nei dubbi e nelle diffidenze verso gli studenti, ma in alcuni (come Gino Canepa) nella curiosità che poi sfocia in interesse e simpatia, e poi in amicizia con lo storico e con le compagne e compagni universitari. C’è Franco Sartori, uno dei protagonisti operai  dell’incontro con il Sessantotto e animatore dell’autunno di lotta del ’69 e degli anni seguenti; ci sono altri, poco conosciuti, come Mario Sfrisi, e lo scontro sulla Commissione Interna all’Asgen, la “Sezione Teglia” del PCI di Rivarolo e la consapevolezza politica del gruppo di operai che la animavano, già dagli anni precenti. E poi, il “vento che gira”, l’esplodere del 68 non solo nelle lotte operaie (a Genova, la Chicago Bridge da il via) ma nelle scuole, nelle chiese, negli ospedali psichiatrici … l’estate del ’68 all’Asgen, finalmente scoppia la lotta: “nell’assemblea seguita allo sciopero si era vista una determinazione che aveva colpito gli stessi non troppo sotterranei organizzatori”. Il 17 luglio di nuovo lo stabilimento intero entra in sciopero: la CI, il sindacato (e il Partito) devono accettare le decisioni dell’assemblea, a cui da allora spetta la direzione della lotta: “la fine del mondo; l’azzeramento di pratiche sindacali consolidate da anni”.  Lotta operaia e lotta politica dentro il PCI, l’emergere di consapevolezza politica generale incarnata in figure di giovani e meno giovani operai (“Possibile che tutto quello che stavamo vivendo fosse interessante solo per dotare i metalmeccanici di un nuovo contratto di lavoro? La società aveva alzato la testa…”), lo scontro, le stategie del PCI per non perdere il controllo sul partito e sulle fabbriche…un racconto appassionante, dall’interno, che si chiude con la fine del ’69, con la bomba di Piazza Fontana e la firma del contratto dei metalmeccanici.

“Gino, ora tocca a te”, 4 gennaio 1975, Manlio comincia l’intervista a Gino Canepa. Per una storia della fabbrica tra il 68 e il 69, “anni speciali anche se trascorsi da poco”. L’idea era di Gino, che voleva dallo storico e dalla storia risposte a ciò che si capiva era stato importante, “non facile, perché era necessario dare ragione nello stesso tempo alla storia dei molti e dei singoli, come la sua”.  Caffe, Elio, Luigi, Remo, altre voci si aggiungono, quelle dei compagni del Comitato. E quella di Manlio che, nel rileggere e interpretare, offre una sintesi di fatti e soprattutto pensieri , che muovevano sia i suoi testimoni che lui stesso, insieme partecipe politico attivo e storico impegnato sul piano teorico. Il suo riferimento è  Montaldi (“Militanti politici di base”): “Quello che ci voleva: era la prova di come si potesse a un tempo fare politica e occuparsi di storia” “storie di vita a testimoniare il valore cruciale della discontinuità e della rottura nella battaglia intrapresa dalla classe per la sua emancipazione”. Ma i testimoni di queste interviste sono diversi dai militanti di Montaldi, sono meno “eroici”, il loro protagonismo è quello formatosi con i Comitati, con il noi più che con l’io…

Le interviste si fecero, e furono interessanti, ma il progetto si arenò, per tanti motivi di cui Manlio da conto, ma ora riemergono e riempiono le pagine di questo libro: ” a volte si ha tempo per correggersi. Nel nostro caso tempo ci fu, dopo le interviste continuammo a frequentarci” anzi, diventarono amici, e confinanti di terra, un piccolo vigneto acquistato da Manlio col collega Moreno, fino alla morte di Gino, nel 1991.
Gino comincia parlando della “villa”, e non poteva essere diversamente: “Muratori, villani, camalli, operai: storia di Gino Canepa raccontata da lui stesso”, così si intitola la sua lunga autobiografia: dal nonno al padre portuale a lui stesso, ma la villa è sempre lo sfondo delle loro vite: “se andavi a lavorare in porto o a fare l’operaio, era un mestiere che si aggiungeva”, una fatica, che però dava una certa soddisfazione. Grazie alla villa, e al lavoro e all’inventiva della madre Felicina, che va sul mercato a vendere i prodotti, la famiglia riesce a superare i lunghi periodi di crisi (durante il fascismo, in porto dove lavora il padre Dria). La sua  è la storia della trasformazione della città proletaria e contadina, delle strategie di vita, dei modi di relazionarsi in famiglia, tra le generazioni, e fuori, con i compagni di lavoro, con le donne. Di un protagonista consapevole, che riflette sul mondo e che non accetta mai lo status quo. Che in certi casi precorre i tempi, nel suo rifiuto verso il consumismo, verso il lavoro come fine invece che mezzo per la una vita più felice… non è stato casuale il suo incontro con i temi del ’68 e il suo accoglimento di alcuni dei suoi esponenti, gli studenti che andavano ai cancelli della fabbrica per conoscere di persona gli operai.

Anche per noi lettori questo libro è un incontro, con Gino Canepa, con Felicina, (intervistata anche anni dopo, nel 1981, da Isabella Traverso ), con il padre Dria, con il portuale Malinverni e  la folla di personaggi che popola queste pagine. E anche, di riflesso, con gli studenti  che animarono i “seminari” universitari tra il 1974 e il 1976, del loro entusiasmo  e delle scoperte, di cui l’autore, docente dell’epoca, da conto. Un reincontro, un ritrovarsi, con Claudio Costantini, che tra i primi aveva colto il valore di questi documenti nel suo sito “Quaderni.net”.

E’ anche un nuovo incontro con la città, che va ben al di là della storia locale, ma ha, come altri libri di Manlio, un valore esemplare. E ciò attraverso uno sguardo storico che integra storie individuali e collettive, di uomini e di donne, storia politica e sociale, storia del lavoro e del territorio… un grande libro, una lunga ricerca, che parla a molti di noi, e di molti di noi.

 

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I nodi della storia orale: un intervento di Manlio Calegari

Volevo segnalare un bell’intervento, analitico e problematico , di uno dei maestri della storia orale, e non solo.

Lo trovate qui

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Un film sul femminismo a Genova negli anni Settanta

Donne in movimento. Prima del film a Genova il 26 gennaio 2012

"Donne in movimento. Il femmnismo a Genova negli anni Settanta". Prima del film a Genova il 26 gennaio 2012

Nuova produzione dell’Associazione per un Archivio dei movimenti di Genova

Giovedì 26 gennaio, alle ore 18, nella Sala Sivori in Salita santa Caterina 12 a Genova ci sarà la presentazione del film “Donne in movimento. Il femminismo a Genova negli anni Settanta”

Si conclude così il lavoro di un anno.

Una dozzina di interviste individuali  e tre a gruppi di sette persone ciascuna,  a donne protagoniste del movimento, decine di ore di registrazione che poi rimarranno, integrali, all’ARCHIMOVI. E anche decine di immagini, e molti documenti consultati, recuperato un video del 1977, e fatto nuove conoscenze e lavorato tanto e anche tante discussioni (il gruppo di redazione essendo costituito da tre donne e un uomo, il regista Gian Pangrazio). Discussioni belle e comunque interessanti, qualunque sia l’esito del film, anche se ci seppelliranno sotto un camion di ortaggi… su problemi di contenuto e di forma, sul lessico e sulle canzoni, sui massimi sistemi e i minimi dettagli.  Insomma su tutto… però senza mai litigare, miracolo della saggezza della mezzetà…e fatto anche tante risate e bevuto tanti bicchieri dei buoni vini italiani…

Altra cosa bella: una collaborazione tra generi e generazioni, uomini, donne, giovani e meno giovani. Anna Frisone, autrice con noi della sceneggiatura, è una giovane storica -dottoranda – che si è laureata nel triennio proprio con una tesi sul movimento femminista genovese e specialmente sulle donne nella FLM, poi pubblicato col titolo “Non è un gioco da ragazze” Ed. Ediesse.

Per sapere qualcosa di meno impressionistico, i dati del video per esempio, pubblico qui la copertina del dvd (che sarà disponibile a 10 euro a partire dalla presentazione, poi nella sede di Archimovi e in alcune librerie. Per chi è fuori Genova, scrivere un messaggio qui! o alla mail archiviomovimenti@archiviomovimenti.org )

Bene, incrociamo le dita!

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Genealogie

Emily e Greg: una cugina (di secondo grado) e suo marito ci sono venuti a trovare dalla ‘Merica. Abbiamo passato

cousins

family tree: Emily e Giovanna

alcune ore guardando una stupenda genealogia, completa di decine di fotografie, di tutti i rami del clan ligure di Domenico Rovegno (padre della mia nonna paterna Jenny Rovegno). Ai Rovegno’s ho gia dedicato un paio di post, qui, qui.

Anche Emily ha dedicato molto tempo alla ricostruzione dei legami genealogici (e affettivi) tra le varie componenti di questo sterminato clan. Il bisnonno Rovegno ha avuto infatti qualcosa come 14 figli, di cui sono vissuti almeno in 11…Emily  ha messo insieme una commovente serie di immagini, mariti e spose, bambini, zie, ragazzi,

family tree, Emily

soldati…di schiatta ligure/americana con innesti di molte altre genti. Naturalmente le fotografie sono frutto di legami mantenuti e rinnovati tra tutti quanti: ora Emily, dopo una visita al paesello degli ancestors (Tribogna) si recherà a Napoli per visitare un’altro ramo della sua famiglia (i parenti della madre). Ma la sorpresa e la bellezza dell’incontro è stata anche di sapere che Emily, che è ostetrica, è di ritorno da un soggiorno di tre mesi in Palestina, dove, come volontaria, ha tenuto un corso di aggiornamento in una locale università. Anche il marito Greg è un attivista antiapartheid e nel pacifismo internazionale. Peccato che il mio inglese basico non mi abbia permesso di approfondire meglio – in ogni caso, è stato un bell’incontro, con scambio di mail e la promessa di contribuire reciprocamente a completare con le foto dei figli e dei nipoti il “family tree”. Ho “toccato con mano”, attraverso il paziente lavoro genealogico di Emily, quanto sia importante il “sapere” chi si è, da dove si viene. E che ciò non è affato legato a una ideologia “sangue e suolo”, comunitaristica in senso deteriore. Anzi, proprio il contrario: come anche l’attività solidale di Emily dimostra.

family tree, pictures

Proprio in questi giorni  sto leggendo un libro, “Traveling Heritages”, frutto di un convegno e di un progetto sulla memoria delle comunità emigrate portato avanti dallo IIAV, storico Centro delle donne olandese, con donne marocchine, surinamesi e delle Indie orientali. Molto interessante; mi è venuta voglia di studiare anche qui da noi come iniziare a fare qualcosa sull’argomento. Ne ho cominciato a parlare in giro e ho avuto l’impressione che sia come una fiammella in una prateria: potrebbe divampare un bel fuoco…

Emily and Mimma (93)

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Nuovo Archivio dei Movimenti

Si chiamerà “Archivio dei movimenti a Genova e in Liguria“. Ne ho fatto cenno in un post di qualche mese fa, ora mi pare giunto il momento di fare un breve resoconto sullo stato delle cose.

Il progetto è partito un anno fa: creare anche a Genova, come ne esistono in molte città grandi e piccole, un Archivio dei movimenti sociali e politici della seconda metà del ‘900. Raccogliere i propri e altrui fondi documentari, prima che il tempo, i casi della vita e della morte li disperdano in maniera irrecuperabile. Trovare per questo archivio una sede presso un Ente pubblico che assicuri la conservazione e la messa in consultazione “per sempre” e a chiunque, ma non solo, che consenta alle donatrici e donatori dei documenti una partecipazione attiva, che dia senso e contesto al lavoro sulla memoria. Lavorare in modo collettivo, ricercando il contributo sia dei protagonisti/e e dei testimoni dei movimenti come degli studiosi/e  e specialisti/e che ne hanno fatto oggetto di studio da molti anni. Naturalmente chiedere collaborazione e tutela alla Soprintendenza per gli archivi. Sollecitare e creare le condizioni per una collaborazione trasversale a Enti pubblici e soggetti privati, non perdere di vista l’obbiettivo di entrare in rete, reale/virtuale, con i sistemi informativi che rendono accessibili le risorse archivistiche fino al massimo livello…potrei continuare per molto, perchè il progetto ha molte sfaccettature, ma mi impongo la sintesi.

Dopo la creazione dell’Associazione (di cui sono presidente), un anno di lavoro, la raccolta dei primi fondi documentari e molti incontri e discussioni appassionate, innumerevoli contatti e messaggistica su tutti i tipi di personal network  (ho contato qualcosa come 800 email spedite e ricevute solo da me in un anno…) alla fine quasi ci siamo: il Comune di Genova ha accettato la nostra proposta con delibera della Giunta, la sede dell’Archivio sarà la civica Biblioteca Berio, in una sua dependance allo scopo attrezzata con il contributo della Fondazione per la Cultura e della Compagnia Portuale Pietro Chiesa, i fondi documentari raccolti saranno donati alla Berio, cioè al Comune di Genova, saranno pubblici e consultabili… L’associazione continuerà ad avere avrà un ruolo importantissimo, oltre che di recuperare i documenti e di contribuire al loro trattamento archivistico, anche di promozione, valorizzazione, lavoro culturale… Per saperne di più, visitate il sito (in costruzione) dell’Associazione per un archivio dei movimenti,  e se volete lasciate un messaggio sul Forum…

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