Archivi categoria: femminismo

EFFE, archivio virtuale sul web

Bellissima realizzazione!
effe, rivista femminista

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Roma, Tavola rotonda: Archivi delle donne. Prospettive, problemi, sfide

                                  Giovedì 23 aprile 2015, ore 17.00

 Tavola rotonda

 Archivi delle donne. Prospettive, problemi, sfide

 a partire dal volume a cura di Paola Novaria e Caterina Ronco

 Archivi delle donne in Piemonte. Guida alle fonti

Centro Studi Piemontesi, 2014

Intervengono

Gabriella Nisticò, Paola Novaria, Silvia Trani, Manola Ida Venzo

Coordina

Elena Petricola

 

Biblioteca di storia moderna e contemporanea – Palazzo Mattei di Giove

Via Michelangelo Caetani 32 – Roma

Per informazioni: tel. 0668281739 – b-stmo.info@beniculturali.it  – www.bsmc.it

 

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Comunicato stampa

 

Giovedì 23 aprile alle ore 17.00, in collaborazione con la Casa Internazionale delle donne,Archivia e la SIS (Società Italiana delle Storiche), presso la Biblioteca di storia moderna e contemporanea (Palazzo Mattei di Giove – Via Michelangelo Caetani 32, Roma), si terrà una tavola rotonda sul tema Archivi delle donne. Prospettive, problemi, sfide, a partire dalla pubblicazione del volume a cura di Paola Novaria e Caterina Ronco Archivi delle donne in Piemonte. Guida alle fonti, Centro Studi Piemontesi, 2014. Intervengono: Gabriella Nisticò,Paola Novaria, Silvia Trani, Manola Ida Venzo. Coordina: Elena Petricola.

 

L’Archivio delle Donne in Piemonte, come altre iniziative ed esperienze analoghe, è nato dal riconoscimento del valore collettivo della storia delle donne e dalla necessità di conservarne la memoria, bene comune per il territorio. Il volume a cura di Paola Novaria e Caterina Ronco Archivi delle donne in Piemonte. Guida alle fonti fa parte della collana “Archivi e Biblioteche in Piemonte”, promossa dall’amministrazione regionale in collaborazione con il Centro Studi Piemontesi, e propone l’elenco di tutti gli archivi di singole donne e associazioni femminili del Piemonte; ad ognuno di essi è dedicata una scheda con collocazione e contenuti.

 

Indice: Presentazione. Eugenio Pintore, Gli archivi delle donne: una ricchezza di genere. Dimitri Brunetti, Prefazione. Daniela Caffaratto, Prefazione. Elena Petricola, Per Caterina Ronco, Archivi delle donne in Piemonte. Un incrocio di mappe e di sguardi. Archivio delle Donne in Piemonte, Considerazioni archivistiche a margine di un censimento di fondi. Linda Giuva, Non solo polvere. Soggettività e archivi. Paola Di Cori. Guida alle fonti per la storia delle donne in Piemonte.

Completano l’opera una ricca bibliografia (suddivisa in Archivi, fondi, inventari; Memorialistica; Studi e ricerche) e gli indici dei nomi di persona e dei nomi di associazioni, gruppi e movimenti.

 

La recente pubblicazione del volume ha offerto lo spunto per un confronto sui luoghi di documentazione archivistica per la storia di genere in Italia.

Al dibattito parteciperanno Gabriella Nisticò, presidente di ARCHIVIA (Roma), Elena Petricola, storica, co-delegata dell’Archivio delle Donne in Piemonte, Paola Novaria, responsabile dell’Archivio storico dell’Università di Torino, Silvia Trani, archivista, specialista di archivi militari, Manola Ida Venzo, funzionaria dell’Archivio di Stato di Roma.

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Genova: La Storia (raccontata da uomini) in Piazza…

A Genova, palazzo Ducale, è iniziata oggi la sesta edizione de La storia in Piazza, tre giorni intensi di incontri che quest’anno hanno come tema “Il capitalismo”. L’ho sempre seguita, è una delle manifestazioni che negli anni passati mi è sempre piaciuta, che ha attirato moltissimo pubblico e che ha sollecitato sulla storia domande e approfondimenti di grande valore. Ma quest’anno…

Pubblico qui il comunicato della Società Italiana delle Storiche, non solo lo condivido, ma, senza saperne nulla, oggi sfogliando il programma, durante la conferenza iniziale di Donald Sassoon, stavo facendo le stesse identiche considerazioni! Sfilate di maschi…tutte le conferenze sono fatte da uomini…non esistono in Europa storiche che abbiano studiato il capitalismo? ma figuriamoci!

L’assenza e l’invisibilità femminile nelle posizioni apicali in ambito universitario e accademico -proprio questo argomento è stato dibattuto poco tempo fa in una giornata di studi del CIRSDE, Università di Torino, ecco un video della parte presieduta da Luisa Passerini:

Convegno “Donne di Scienza per l’Europa” – Torino, 13 febbraio 2015

 in cui con abbondanza di contributi statistici e inchieste sociologiche veniva illustrata, e interrogata, la presenza vistosamente minoritaria delle donne nelle posizioni apicali , rispetto alla presenza nelle fasce basse e medie  e alla qualità dei loro contributi e percorsi scientifici. La Storia in piazza di quest’anno – sembra una illustrazione puntuale del problema. Il bello è che Luca Borzani, nella sua introduzione, riferendosi al capitalismo, ha rilevato come oggi sembri un fenomeno retto da leggi “naturali”, anzichè storiche, in assenza di opposizioni in gran parte del mondo. Giusto. Ma l’assenza delle donne nel panel della Storia in Piazza, come relatrici, e la loro folta presenza in ruoli di comunicatrici, didatte, staff tecnico ecc. non è forse altrettanto “naturale” e quindi “invisibile”? Apriamo gli occhi!

Comunicato SIS_Storia in Piazza 2015 (2)

NO WOMAN’S LAND
La Società Italiana delle Storiche (SIS) intende, con il presente comunicato, rivolgere uno
sguardo critico sull’edizione 2015 della manifestazione di divulgazione storica “La Storia in
Piazza”, che si svolge a Genova ormai da cinque anni e che quest’anno è dedicata a “Le età del
Capitalismo”.
Se il tema scelto, date le pressanti questioni sollevate dall’odierna crisi economica, risulta
certamente attuale e stimolante, scorrendo il programma emerge come tra i relatori delle ben quattro
giornate non sia coinvolta alcuna storica. Un’assenza resa ancora più vistosa dallo scorrere, lungo
tutto il programma, di una nutrita galleria di ritratti fotografici degli storici invitati alla
manifestazione: la Storia siamo noi; noi uomini, s’intende. Certo, non mancano le presenze
femminili, tutte però con funzioni di coordinamento e supporto (come la preziosa presenza di tante
studentesse dell’università di Genova). Il problema di una crescente indifferenza per le questioni
sottese a esclusioni come questa devono far riflettere.
Se le storiche di professione sembrano quindi non esistere, ciò che più colpisce è l’assenza di
interventi che facciano riferimento alle intersezioni tra il discorso di classe e le dinamiche di genere,
al complesso rapporto tra donne e lavoro, alle riflessioni critiche che decenni di studi femministi in
ambito storico, economico e sociologico hanno prodotto appunto sul capitalismo.
La SIS rigetta ogni approccio che promuova una storia delle donne separata (limitata ad alcuni
specifici temi ed in fondo marginale) e che riproponga, con una scelta ormai metodologicamente
inconcepibile, il neutro maschile per le narrazioni ‘generali’.
Con la totale assenza delle storiche, l’edizione 2015 del festival genovese segnala che, anche
nella divulgazione della ricerca storica, determinati ambiti come quelli del lavoro, del mercato,
dell’economia, restano saldamente appannaggio maschile. La realtà, come testimoniato dalla varietà
e dalla qualità del lavoro di tante ricercatrici e tanti ricercatori attenti all’uso della categoria
epistemologica del genere nel contesto della disciplina storica, è ben diversa, ma l’immagine che
una manifestazione come “La Storia in Piazza” sceglie di restituire al grande pubblico si dimostra
desolante. Si propone infatti una discussione storiografica dimezzata e carente, che fornisce un
quadro distorto e lacunoso dello stato dell’indagine storica legata a queste tematiche nel nostro
paese, con il rischio di collocare la storiografia italiana ai margini del dibattito accademico
internazionale.
Roma, 16 aprile 2015

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1989 – Finite Infinity: Paola Campanella e Emily Dickinson, quadri e poesia in una vecchia libreria ormai scomparsa

Un evento dei lontani anni Ottanta…

Paola Campanella è una pittrice genovese, che in un periodo della sua vita artistica era affascinata dalla linea retta, esplorata in tutte le sue varianti e possibilità. Emily invece utilizza più volte la circonferenza (“sposa del terrore”), una delle immagini simboliche più dense, e oscure, della sua produzione poetica. Nel 1989 con diapositive di quadri di Paola Campanella (realizzate da Angelo Gualco), lettura di poesie di Emily Dickinson e musica di Sciarrino avevo realizzato un incontro pubblico, quando avevo una libreria, nel Centro storico a Genova. L’evento era intitolato “Finite Infinity. Arte, libertà e soggettività femminile“. Me lo ricordo con grande nostalgia (un coraggio – o un’incoscienza- smisurata!). Inserisco il collegamento al testo realizzato per l’occasione. Forse qualche concetto è datato, sono passati tanti anni…ma, stranamente, non mi da quel senso di estraneità che si prova spesso rileggendo propri vecchi scritti. Merito della grande Emily, sicuramente (che periodicamente vado a rivisitare) e anche dei quadri di Paola Capanella, due dei quali mi fanno compagnia da allora.

Finite Infinity

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Incontro a Bologna 2. Continua dal post precedente

Sempre sperando in una messa in rete della registrazione video degli interventi, passo a quello di Paola Di Cori, non perché non siano stati belli e interessanti quelli di Annamaria Tagliavini e Serena Sapegno (autrici di Babyboomers ), e quello di Marzia Vaccari, che ha illustrato come attraverso la ricerca in rete, con Cercatrice, a differenza che con altri browser, si possa “raccontare la storia del femminismo” senza incappare  in “falsi positivi”, quando non veri e propri siti pieni di bufale menzogne e anche insulti…

L’intervento di Paola Di Cori è una specie di controcanto rispetto a quello di Anna Rossi Doria, e perciò mi sembra importante cercare di ricordare i concetti principali. Almeno, quelli che sono riuscita ad annotare.

“Nel tempo, cambiano i significati attribuiti alle parole (vedi Femministe a parole ). E’ importante raccontare e trasmettere, contro la narrazione egemonica che si presenta come un edificio autoreferenziale. Parole chiave: asincronia e archivio. Abbiamo  bisogno di una grande narrazione del femminismo, ma non come negli anni Settanta, Ottanta, chiusa e autoreferenziale. Bisogna trovare gli intrecci con sessualità, razza e razzismo, politica, donne non-femministe…esperienze corporali, visuali…ciò che subito appare chiaro e nitido, poi si offusca…ordine e disordine si scambiano le parti. Per rendere riconoscibili le esperienze, non dobbiamo lasciare le cose in stato di quiete…

Asincronia: “femminismo” non ha una continuità immediata con il presente. Dissidio, frizione, trasformazione. Asimmetria della memoria. Diversa disposizione nello spazio e nel tempo. (Fattori di cambiamento) come media, informatica, crisi economica… nomi come Freud, Benjamin, Nicole Loraux , Joan Scott; opere letterarie come Calvino in Palomar …

Archivi: costruzioni irregolari, fatte di testimonianze ingombranti e di silenzi. Archivi come luoghi di affettività  (cita: Arlette Farge , Nathalie Léger, Jean Luc Nancy). Conflitto tra memoria e archivio…”

Questo quello che ho capito, ma forse mi è sfuggito altro. Naturalmente, Anna Rossi Doria ha subito dichiarato di non essere daccordo sulla non-continuità del femminismo  con il grande movimento che inizia nel Settecento e continua con l’Otto e Novecento. Purtroppo poi si sono messe a parlare tra loro a bassa voce, evidentemente per chiarire meglio i punti di disaccordo o di accordo.

Quindi, siamo rimaste così. Ci tocca ragionarci su, cercando di usare i loro suggerimenti, i tanti autori e autrici citate, e poi perché no, la nostra testa…

Il convegno è continuato con altri interventi, bello e intenso come sempre quello di Emma Baeri, poi una giovane e bravissima Antonia Cosentino, autrice del libro Al posto della dote ( sulle Case delle donne in Italia) . Mi ha colpito, e me lo voglio leggere, anche perché mi ricordo bene le lunghe lotte per avere un Luogo, una Casa. In tante città, compresa Genova. Lotte che continuano anche adesso…

I miei appunti finiscono qui, ma il convegno è continuato. Bene, al prossimo!  abbiamo di che pensare.

 

 

 

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L’incontro di Bologna organizzato dalla Associazione Orlando (Narrare e rappresentare una storia, femminismo e femministe in Italia negli anni Settanta…)

Molto, molto interessante. La mia non può essere una cronaca, e mi sono pentita di aver preso appunti così disordinati e sommari (cercavo di seguire il più possibile…). Possiamo solo affidarci alla registrazione puntualmente effettuata dal Serverdonne e sperare che prestissimo sia resa disponibile. Voglio solo ringraziare, di cuore, a chi ha pensato e organizzato il seminario (Annamaria Tagliavini, Elda Guerra) a chi è intervenuta… grazie, credo di non essere la sola a sentire l’esigenza di una puntualizzazione su ” a che punto è la storia delle donne”, di un confronto tra sguardi diversi (anche in contraddizione), ma di livello molto alto, il massimo forse oggi in Italia. Tuttavia, per Anna, amica e giovane storica ora a Londra, impaziente di “nutrirsi” con ciò che si è discusso ieri, tento di buttare giù qualche appunto, scusandomi per la sommarietà.

Anna Rossi Doria (indomita guerriera, nonostante la fatica,con il suo bastone e la bianca criniera, credo fosse palpabile l’alone di affetto e riconoscenza che la circondava ). Alcune frasi estratte da un intervento densissimo, pieno di citazioni e rimandi ad altri testi, ad altre narrazioni storiografiche.

“Vuoto storiografico e cambiamento di rapporti tra memoria e storia (riferimento: Simonetta Soldani, “Incerto profilo ecc.” in “A che punto è la storia delle donne in Italia”, Viella 2003).

Oggi: grande mole di memorie, ma scarse storie locali; c’è stata troppa concentrazione sulle “origini” , mentre il femminismo coinvolgeva intanto milioni di donne … (Testi di riferimento: Memoria – la rivista, sui Settanta; Genesis III 2004, Anna Bravo e Giovanna Fiume).

Ma come pensiamo al femminismo? Non nostalgia (che vuole rivivere il passato come riproducendolo) ma malinconia, per la perdita del momento utopico – utopia concreta (Luisa Passerini, Storie di donne e femministe), per la difficoltà a raccogliere la fine di quella esperienza (Joan Wallach Scott. The Fantasy of Feminist History. Duke University Press, 2011). Anche ad esempio Lo schermo del potere, l’introduzione di Emma Baeri al libro Una questione di libertà di Anita Ribeiro, e Femminismi a Torino di Piera Zumaglino …

Negli ’80 la teorizzazione della “genealogia” (Libreria delle donne di Milano) ha ostacolato una storia femminista, la pluralità dei femminismi e la comparazione di realtà locali (Nè partito nè marito… citato da A.R.D., che emozione….e che onore!) e Federica Paoli in Differenze nella collana Letture d’Archivio, nonchè il libro Il gesto femminista
Sulla storia ha prevalso la memoria, cosa che, oltre i meriti, apre anche problemi: c’è un’idea nostalgica del passato – un altro luogo, più che un altro tempo – c’è perdita della continuità e del nesso fra passato e presente, in ultima analisi c’è indebolimento del futuro e il rischio di fare una storia identitaria, di avere dei frammenti di passato distinti, specialmente come storie delle vittime (citato: L’età dell’oblio, di Tony Judt)

Se all’inizio la storia delle donne si poneva come storia particolare, ora il problema è opposto, c’è l’esigenza di una nuova universalità.
Bisogna ripensare la soggettività (su cui hanno lavorato tanto Di Cori e Passerini, soggettività versus identità) oggi però, nel clima mutato, non deve diventare arbitrarietà. La storia non è l’autobiografia (e qui non è questione di sguardo delle donne/sguardo generale, e nemmeno di “dibattito sul postmoderno”…).In difesa della storia, di Evans (Sellerio ed.)  Non dobbiamo tornare indietro, ma ripensare il rapporto tra particolare e universale (ad esempio nel dibattito sul multiculturalismo) cercare le potenzialità dell’universale nel particolare (rif: Alain Touraine, Pier Cesare Bori, e Natalie Zemon Davis, Che cosa c’è di universale nella storia.

Continua, se ci riesco, alla prossima puntata

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Femminismo anni Settanta, incontro a Bologna di storia delle donne

seminario 22 nov. (1)

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10 novembre 2014 · 6:19 PM

ANAI: a tutti i soci…

“Carissimi soci e amici…”

Così comincia la lettera ai soci dell’ANAI (Associazione nazionale archivistica italiana) che convoca l’assemblea nazionale annuale dei soci e che tra le altre importanti cose chiede anche di mettersi in regola con il pagamento delle quote …e che enumera anche i servizi ai soci…e riserva ai soci delle tariffe agevolate per la formazione…eccetera eccetera…

Ho deciso che non rinnovo la quota: già l’anno scorso avevo scritto al caro presidente dell’Associazione, Marco Carassi, chiedendo e motivando che volevo vedere, nelle lettere ufficiali dell’Associazione, che conta tra i suoi aderenti moltissime donne (metà, tre quarti, chissà) che ci fosse la doppia sessuazione di genere, almeno nelle intestazioni, ed enumerando la ormai abbondante letteratura a sostegno. Sia “classica” (da “L’infinito singolare di Patrizia Violi e dalle “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua” di Alma Sabatini, entrambi testi della fine degli Ottanta, il secondo uscito per la Presidenza del Consiglio dei ministri), alle precisazioni dell’Accademia della Crusca per arrivare all’Europa, con cui ci strapazzano quotidianamente ma che ogni tanto esce con dei documenti apprezzabili (e che da noi sono regolarmente ignorati). Il Lilithblog ha pubblicato tanti post sull’argomento, anche Adriana Perrotta Rabissi, che da decenni si batte contro il sessismo linguistico, più volte è tornata a illustrare : ciò che non si nomina non esiste. Ovvio: la lingua non solo descrive ma performa, crea, modella l’universo dei parlanti. Leggiamo anche Cecilia Robustelli in uno dei suoi interventi: “La Direttiva sulle misure per attuare Parità e Pari Opportunità tra uomini e donne nelle Amministrazioni Pubbliche della Min. Pollastrini sostiene la necessità di usare un linguaggio ‘non discriminatorio’. Nell’Atto di Sindacato Ispettivo del Senato del 31 maggio 2007 (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=15&id=268278) è stato impegnato il Governo a “introdurre negli atti e nei protocolli adottati dalle pubbliche amministrazioni una modificazione degli usi linguistici tale da rendere visibile la presenza di donne nelle istituzioni, riconoscendone la piena dignità di status ed evitando che il loro ruolo venga oscurato da un uso non consapevole della lingua”

Quindi, riassumendo, per l’ANAI io non esisto, o esisto sotto specie di uomo. Cosa che non è vera, lo posso assicurare.

Ormai anche i moduli per l’anagrafe canina hanno la doppia sessuazione: perchè mai l’ANAI deve distinguersi per arretratezza e incultura? della serie: facciamoci conoscere?

L’ANAI regionale Liguria invece ha adottato nelle comunicazioni o nei moduli il classico: “Il/la socio/a …”.  Sarebbe bene che si facesse anche portatrice di una “raccomandazione” alla “Casa Madre”…
Io, intanto, non pago.

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AGGIUNGO  il giorno 15 aprile 2012

Oggi, via Facebook, leggo questo interessante post:

http://retedelleconsiglierediparitadellemarche.wordpress.com/2012/04/14/appello-contro-luso-sessista-della-lingua-italiana/

che fa proprio al caso nostro. E naturalmente bisogna citare l’articolo di Adriana Perrotta Rabissi, “Di corpi e di parole”.

A farlo apposta, ricevo il seguente invito:

Genova, 12/04/2012

Si invia in allegato l’invito e la locandina dell’Incontro “La Memoria nel fango” L’alluvione in liguria e gli archivi. L’ingresso è gratuito.

Per il Soprintendente Francesca Imperiale

Ora, visto che “soprintendente” è un nome “di genere comune” come dice la grammatica, cioè ha una sola forma sia per il maschile che per il femminile (come un/una cantante, mia/mio nipote, il/la preside, il mio consorte/la mia consorte, cioè è l’aggettivo o l’articolo che specifica il genere) e visto, anche qui non ci sono dubbi, che la nostra fantastica Soprintendente è una gentile signora, perchè affliggerla con l’articolo al maschile?

Perchè, siamo al “senso” della faccenda, “sopraintendere” a qualche cosa è una faccenda da maschi? edddài, cominciamo a usare le parole giuste…se vogliamo che qualcosa cominci a cambiare.

 

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Pubblico qui l’intervento di Graziella Gaballo* a commento del video “Donne in movimento”  ieri sera al Circolo Zenzero di Genova, dopo la proiezione del film.

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Mi è stato chiesto di “rompere il ghiaccio” e di aprire il dibattito con un mio breve intervento e immagino che questo sia dovuto a due motivi: da una parte, l’essermi  occupata nella mia attività di ricercatrice storica del femminismo degli anni Settanta del  quale sono anche stata protagonista, ma, dall’altra, e soprattutto – credo – per il fatto di non essere stata direttamente coinvolta nelle vicende genovesi di cui il filmato dà conto e quindi di poter avere uno sguardo sufficientemente distaccato.

Stiamo parlando di una stagione cronologicamente ancora vicina, ma lontana dalle esperienze di vita di chi oggi ha vent’anni. Si tratta di  un periodo di grandi cambiamenti,  importante per comprendere a fondo la società e la storia degli ultimi quarant’anni, visto che il movimento delle donne è quello che più ha inciso sulla trasformazione della mentalità e dei comportamenti quotidiani, oltre ad aver rappresentato un unicum nella storia politica, anche locale, perché in nessun’altra situazione si è mai  visto un coinvolgimento così importante sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo di donne (certamente molte di più di quante abbiano mai militato nei partiti) e in nessun’altra situazione le donne hanno esercitato una funzione politica così rilevante. E ritroviamo questa consapevolezza, nel video appena visto, ad esempio nelle parole di chi parla addirittura di  “senso di potenza” nel ricordare proprio quanto il movimento delle donne abbia “contato” e “spostato”.

Ma per entrare nel vivo e  parlare proprio del filmato, la prima cosa che mi viene da dire è che stupisce la capacità e la bravura dell’essere riusciti, nello spazio di una sola ora, a dar conto di così tante cose: a restituire un’atmosfera e  una identità collettiva,  la ricchezza delle tematiche, la “mappatura” del territorio e il racconto di quel periodo   – e abbracciando anche l’aspetto della  trasmissione e del  legame con l’oggi.

A  guidarci nella rilettura e ricostruzione  di quegli anni sono nel video coloro che ne sono state allora protagoniste;  e i visi di queste  donne sono –  prima ancora delle affermazioni fatte e dei temi trattati –  ciò che più mi ha colpito. Perché sono tutti  visi belli, non stereotipati,  intelligenti,   sorridenti, positivi, che testimoniano una ricchezza di esperienze e di crescita personale che ha dato loro una grande forza. In una delle ultime frasi del video si dice che il femminismo è  un modo radicalmente nuovo di guardare le cose e forse quello che questi visi ci restituiscono e comunicano è proprio questo sguardo consapevole sul mondo.

Poi, dicevo, la ricchezza dei temi trattati: li ritroviamo tutti, dall’antiautoritarismo e  la critica alla famiglia patriarcale alla  rivoluzione sessuale,  l’autocoscienza e  il partire da sé; dalla  politica e dalla consapevolezza  che  il personale è politico alla doppia militanza, la sorellanza, il  separatismo.

Forse val la pena ricordare come fosse infatti difficile allora – e forse non solo allora-  soprattutto per le donne,  intervenire all’interno dei partiti, che non prevedevano   e non permettevano   tempi individuali  di crescita e maturazione o  di acquisizione di strumenti e in cui non era certo pensabile parlare del personale, perché bisognava occuparsi dei problemi sociali e  della lotta di classe. Di qui, la scelta della separatezza degli spazi di riflessione all’interno di collettivi femministi, che, invece, davano  importanza all’esperienza personale e  al vissuto individuale –  che veniva ricucito con quello collettivo e sociale –    e in cui c’era lo spazio  per la crescita e il confronto. E in essi le donne riuscirono a mettere in parola la loro esperienza e  le loro emozioni,  operando una rottura radicale con le forme e i linguaggi tradizionali della politica – Lolli Ridolini nel video sottolinea proprio questo “riappropriarsi della parola e decidere di cosa parlare” –  e riuscirono, partendo da un ambito extra pubblico per antonomasia – quello della quotidianità e della domesticità – a costruire una lettura e una critica dell’ambito politico.

È una politica quindi  che non si affida a modelli già costruiti e  con la presunzione di valere universalmente, ma che si costruisce sulla base di esperienza vissuta, che parte da qualcosa di percepito come vitale e che lo fa in una presa di distanza fisica e simbolica dal maschile e trovando nell’alleanza con l’altra (la famosa sorellanza, appunto), forza e autorità e capacità di costruire processi e percorsi autonomi.

Tutto questo portando avanti una pratica non autoritaria (anche se non sempre, in realtà, le cose funzionarono poi davvero così) che teneva conto delle esigenze e dei tempi di tutte: ricordiamo che i lavori erano sempre “collettivi”, gli interventi sulla stampa locale fatti a nome di tutte; i ruoli intercambiabili.

Il video ci ha dato poi conto anche della miriade di esperienze fatte, testimoniate pure da manifesti,  volantini,  foto,  filmati: abbiamo visto raccontare la pluralità dei collettivi, l’esperienza della  Casa delle donne, il consultorio. A proposito di quest’ultimo, però, mi pare di aver colto che si sia trattato per il movimento di Genova di un’esperienza meno centrale e significativa di quanto non lo sia stata invece, per esempio,  per la realtà dalla quale io provengo, Novi Ligure,  dove  ha rappresentato il punto cruciale intorno a cui si è costruito, è cresciuto, e si è anche spaccato il collettivo.

E dico questo a riprova proprio delle differenze tra le varie realtà, per sottolineare ancora una volta – come già hanno fatto ad esempio fin dai primi anni Novanta, Luisa Passerini o, più recentemente, Anna Rossi Doria –  come sia importante lavorare in questo campo sulla dimensione locale, perché i caratteri del femminismo variarono molto da una città all’altra e solo questa attenzione al locale  permette  di studiare meglio le modalità di diffusione del movimento.

Certamente, tra i vari gruppi, ognuno dei quali con le sue specificità,  c’erano però anche    numerosi rapporti, molto forti e molto stretti  e sembra davvero incredibile pensare oggi a come si riuscisse allora, in assenza di reti telematiche, ad essere sempre e comunque collegati alle altre  realtà in tempo reale, con una velocissima rete di relazioni informali, creando uno spazio geopolitico estemporaneo e stabile insieme.

E a questo proposito, volevo ricordare  come il collettivo femminista a Novi sia nato nell’autunno del ’72 o ’73, quindi dopo quello di Genova che, se non ricordo male è uno dei più antichi. E in questa prima fase, cui però io non partecipavo ancora,  si erano presi dei contatti anche con delle compagne di Genova e le si è invitate alle prime riunioni. Ed era rimasta mitica nella memoria condivisa questa immagine di esponenti genovesi di un femminismo duro e radicale; per anni io ho sentito parlare, in particolare,  con un misto di rispetto, ammirazione e timore, della famosa “Elvira” di Genova e devo dire che ritrovarla in questo filmato, con un’aria dolce e pacata mi ha quasi sconcertato.

Ma, per tornare alle differenze e alle esperienze fatte,  qui, invece, sono molto più forti, ad esempio,  i fasci di luce sulla vicenda del femminismo sindacale, che è probabilmente la più originale di tutto il neofemminismo italiano e che a Genova ha avuto un’importanza e un peso notevoli: dalla presenza femminile in fabbrica, nel sindacato, nel Consiglio di fabbrica al    coordinamento donne Flm e  all’esperienza delle 150 ore, definita giustamente  nel video “esperienza di controcultura”.

Per ultimo, dicevo del passaggio della memoria – giocato sia sul rapporto ieri-oggi, sia su un  incrocio di sguardi tra generazioni diverse – e  rappresentato visivamente nel filmato da una parte  da Anna Frisone –  una giovanissima  storica che ha pubblicato parte  delle sue ricerche sul movimento femminista a Genova – oggetto della sua  tesi di laurea – nel libro collettaneo “Non è un gioco da ragazze” (Ediesse, 2009), che ha recentemente vinto il prestigioso premio Gisa Giani – e le cui riflessioni hanno costituito la trama della sceneggiatura e dall’altra  dalle immagini di quella giornata storica del 13 febbraio 2011, dove, gridando “se non ora, quando?” le donne sono tornate a riempire le piazze.

Un’opera importante, quindi, di memoria e di documentazione, che è stata resa possibile dallintreccio tra testimonianze e il  materiale raccolto dall’archivio dei movimenti grazie alla consapevolezza da parte di chi se ne occupa –in primis, direi, Paola De Ferrari – che scopo di un archivio non è solo  inventariare e conservare perché  esso vive se raccontato, cioè se i documenti conservati  vengono studiati, valorizzati, socializzati.

Vorrei chiudere con un’ultimissima osservazione su questo aspetto importante di trasmissione e di dialogo con le giovani generazioni. Paola Gaiotti De Biase (questa donna democristiana e adesso del Pd, che ha attraversato gran parte del Novecento con il suo impegno politico) in una recente intervista, alla domanda su cosa le donne della sua generazione lasciano in eredità alle giovani e alla democrazia del terzo millennio, risponde, giustamente, che tocca a loro, non a noi, decidere cosa debba essere continuato della nostra esperienza e che a  noi tocca solo raccontarla. Devo però dire che sono stata piacevolmente colpita – e l’ ho anche   già scritto – dal fatto che Anna Frisone, che in questo caso particolare è la rappresentante delle nuove generazioni, abbia saputo restituire con il suo approccio e  il linguaggio usato – ed è cosa che va al di là della serietà e della profondità della sua  analisi storica –  una sensibilità molto vicina a quella del movimento delle donne di quegli anni, facendomi pensare che la trasmissione tra generazioni non solo è possibile, ma a volte funziona anche, e bene. E questo direi che succede quando il femminismo non viene concepito come una teoria o una dottrina, ma come un pensiero che richiede, per essere pensato, di essere vissuto, di entrarvi a giocare, di parteciparvi da dentro.

*Graziella è ricercatrice storica e collaboratrice dell’Istituto per la Storia
della resistenza edella società contemporanea in provincia di Alessandria
(ISRAL), socia della Società italiana delle Storiche (Sis) e della Società
Italiana  per lo studio della Storia Contemporanea (Sissco).
Si è occupata, in particolare, di storia di genere, storia resistenzialee
didattica della storia e su questi temi ha pubblicato numerosi saggi e
monografie.

 

 

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“Donne in movimento”: grande successo!

Presentazione al Sivori del film sul femminismo a Genova

Moltissima gente: il cinema Sivori era al completo, compresa la galleria. Abbiamo calcolato circa 250 persone.

Molti non hanno potuto entrare, bloccati per motivi di sicurezza dal personale del Cinema. Mugugni e sguardi tristi: si sono fermati più di un’ora al freddo per sapere, dai “fortunati” che erano entrati, come era andata!

Applausi, commozione, elogi, entusiasmo. Valeva la pena di lavorare duramente un anno….

Abbiamo dato più di un centinaio di dvd, preso contatti, fatto nuovi soci e socie all’Archimovi…

Ci saranno almeno due nuove proiezioni: l’11 febbraio alle 18 al Circolo Belleville, il 29 al Circolo Zenzero. Forse anche una intermedia, vedremo.

E’ stato bellissimo condividere con persone amiche, molte che hanno fatto con noi una lunga strada di movimenti e di lotte, il frutto di una riflessione – creativa – su quegli anni. Attraverso un racconto che ha intrecciato l’archivio e le testimonianze di oggi, lo sguardo di un regista militante, Gianfranco Pangrazio, la fresca passione intellettuale di una giovane storica, Anna Frisone, la memoria e le riflessioni mie e di Francesca Dagnino, e delle tante testimoni e protagoniste del femminismo a Genova. E naturalmente, creare un racconto con le immagini e i suoni, i volti, le espressioni, le emozioni. La magia del cinema!

Lo scritto di Cristina Bracchi , in occasione della presentazione di un ciclo di iniziative dell’Archivio delle donne in Piemonte, mi sembra il miglior testo che io abbia letto sul rapporto tra archivio, narrazione, femminismo. Lo riporto qui, a commento, e come promemoria. Per chi non lo conoscesse e per me, per ricordarlo e farne tesoro.

Narrazioni
La messa in relazione dei documenti e delle esperienze, dentro e fuori l’archivio, è
progetto narrativo.
L’archivio – come luogo e come documento – vive se raccontato, cioè se è soggetto di una dimensione narrativa, nelle sue doti di recupero, conservazione, valorizzazione, trasmissione.
La pratica artistica e l’esperienza, la pratica politica di cui il documento d’archivio è
fonte e memoria, sollecitano la creatività della pratica critica. C’è infatti una tensione narrativa nella descrizione storico-letteraria di esperienze, vite, immagini, che insieme all’aspirazione biografica e memorialistica va nella direzione della produzione di memoria culturale.
Come ri-proponiamo/narriamo ciò che è presente in archivio, ciò che afferisce
all’archivio, non è indifferente, infatti il concetto fondante le narrazioni d’archivio è l’idea di processo.
Hannah Arendt spiega che l’azione, il discorso e il pensiero, per diventare cose del
mondo, cioè per essere e avere realtà ed esistenza duratura, devono essere
riconosciuti e ricordati da altri e altre – condizione di pluralità – ed essere resi tangibili.
La «mondità» delle cose dipende dalla loro minore o maggiore permanenza nel mondo stesso. Nella concezione secondo cui con il discorso e con l’azione ci inseriamo nel mondo umano e riveliamo chi siamo in uno spazio di relazione, prendendo un’iniziativa e mettendo in movimento qualcosa in un continuum illimitato e imprevedibile, l’azione stessa si rivela pienamente nel suo significato e nella sua veridicità solo allo sguardo retrospettivo di chi fa la storia, di chi narra.
Guardarci e raccontarci significa l’importanza di raccontare/si e di sentirsi
raccontare che è proprio del femminismo, in termini di autorizzazione e svelamento. È proprio della relazione significativa.
È dunque nella dimensione intersoggettiva che si possono attuare le grandi narrazioni
(dal soggettivo al collettivo) che assumono valenza politica, come i femminismi, le
generazioni, i conflitti di classe, il dissenso, il lavoro, la democrazia che vorremmo, gli scenari possibili di ecologia sociale e mentale.
L’Archivio delle Donne in Piemonte-ArDP fa e si propone proprio questo: rendere
possibili le grandi narrazioni privilegiando quella dei femminismi, secondo una
prospettiva intersoggettiva: un “noi” in relazione, in un archivio aperto a leggerne il
disegno a interagire con l’auto-narrazione del movimento e delle singole.
Il concetto di «mondità» di Arendt, come quello di «mondificazione» di Spivak
spiegano filosoficamente la necessità sociale della politica del ricordo che annulli la
politica dell’oblio. A questo tendono gli incontri del ciclo Narrazioni.
Cristina Bracchi
novembre 2010

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